
Non si tratta, in questo caso, delle gloriose “Quattro Giornate di Napoli”, che ho ricordato recentemente anche sul mio blog ed alle quali avevo dedicato il saggio cui si fa riferimento, documentando tale episodio come esempio clamoroso e vincente di difesa alternativa, di popolo e largamente affidata a metodi di lotta non armata (Ermes Ferraro 1993: (a) "La resistenza napoletana e le Quattro Giornate: un caso storico di difesa civile e popolare", in: AA.VV., Una strategia di pace: la difesa civile nonviolenta (pp.89-95), Bologna: FuoriTHEMA (b) "Le trenta giornate di Napoli", in: AA.VV., La lotta non-armata nella Resistenza, Roma: Centro Studi Difesa Civile (Quaderno n.1).
L’amico Delehaye mi spinge su un terreno molto più remoto nel tempo e nello spazio, quello cioè dell’invasione romana dell’Impero Seleucide e dell’occupazione di Emesa (l’attuale città siriana di Homs [in arabo.: Hims] da parte delle truppe romane guidate da Pompeo nel 64 a.C. Il testo che egli mi segnala – ripreso peraltro con poche differenze da altre fonti sul web – è tratto da Wikipedia e narra che: "I cittadini di Homs sono i soggetti preferiti delle barzellette siriane (un po’ come succede per i Carabinieri in Italia) e spesso irrisi per mostrare una vena di pazzia, tanto da generare una festa che si svolge ogni mercoledì: la cosiddetta Festa dei Pazzi ( <<‘Īd al-majÄnÄ«n>> o <<eid el majaneen>>). La fama della pazzia dei cittadini di Homs affonderebbe le sue radici nell’epoca in cui i Romani decisero di conquistare questa bella città, che si trova vicino a Palmira. Quando gli abitanti seppero dell’avvicinarsi dei conquistatori, il piccolo consiglio cittadino avrebbe escogitato una soluzione abbastanza curiosa. Furono emanati proclami con cui si invitavano i residenti a comportarsi come pazzi, allo scopo di far sentire a disagio gli aspiranti occupanti. Alcune direttive suggerivano di mangiare a bocca piena, defecare nei magazzini di cibo (per disgustare le truppe e evitare che sequestrassero loro il cibo), ballare, toccare i genitali degli stranieri, fare scherzi. Il resto veniva lasciato all’immaginazione degli abitanti. Questi apprezzarono l’idea e agirono seguendo i suggerimenti, e quando i conquistatori giunsero in città, tutti i residenti si comportarono da pazzi, mettendo in piedi uno spettacolo che disgustò le forze sopraggiungenti e ritardò l’assedio della città. Gli effetti comunque non furono a favore della cittadinanza, poiché i romani governarono in seguito la città per decenni."
Il buon Enzo mi “sfida a questa follia, certo che (sono) così folle non solo da accettarla, ma da portarla a termine” e io non posso che ringraziarlo per la simpatica patente che mi conferisce. In effetti, non è che io mi ritenga particolarmente “folle”, ma non posso negare che quando quasi tutti intorno a te – a vari livelli e su questioni diverse – si comportano da matti scriteriati ed incoscienti, dire qualcosa di minimamente sensato e coerente ed andare contro corrente forse è proprio una pazzia! D’altra parte, per citare Erasmo: “…Dio ha ritenuto opportuno salvare il mondo per mezzo della follia, poiché esso non poteva venire redento per messo della sapienza…” (Erasmo da R. (http://it.wikisource.org/wiki/Elogio_della_Follia/Elogio_della_Follia).
Venendo al punto, penso di non essere abbastanza preparato in storia romana – e comunque, di avere a disposizione ben poche fonti documentarie – per affrontare una vera e propria ricerca su questo pur “intrigante” episodio di resistenza assai poco…convenzionale all’occupazione straniera. Quel che è certo è che sono state scritte molte pagine sull’inventiva spontanea e creativa di popolazioni che dovevano respingere su un terreno diverso – non certamente militare, sia per scelta sia per opportunità – pesanti dittature e feroci occupazioni straniere. Lo stesso Antonino Drago, nel suo ottimo saggio sulla “Difesa popolare nonviolenta” (pp.60-65), si è soffermato sui precedenti storici della D.P.N., insistendo anche sull’inventiva di certe forme di opposizione, che scaturiscono solo che non ci si lasci prendere dalla pigrizia mentale di chi accetta la violenza come unica possibilità e non si mette neanche ad esplorare le alternative possibili.
Ebbene, in questo caso abbiamo un oggettivo precedente di una resistenza da parte dei cittadini di Homs i quali, più che lanciarsi in un’improbabile e perdente lotta armata contro l’esercito romano, provano a scansarne l’occupazione manu militari fingendosi pazzi e comportandosi da tali.
Non sappiamo quanto di vero ci sia in questa vicenda, ma è abbastanza sicuro che per diventare addirittura la fonte da cui è scaturita una tradizione popolare tuttora viva e vegeta (la citata “festa dei pazzi”) , qualcosa di simile deve pur essere accaduto.
Se esaminiamo il breve racconto, i verbi-chiave che ne emergono: (1) far sentire a disagio gli aspiranti occupanti ; (2) disgustare le forze sopraggiungenti; (3) ritardarne l’occupazione. I singolari espedienti escogitati dalla gente di Emesa/Homs, infatti, puntano a sconcertare, disturbare e ridicolizzare gli invasori, mandando “l’immaginazione al potere”, come si diceva una volta, allo scopo di spiazzarne la bellicosa sicumera. E’ proprio quello che le tecniche di D.P.N. prevedono, in quanto le pratiche di sabotaggio, boicottaggio, non-collaborazione, “distrazione” e messa in crisi della sicurezza dell’avversario hanno in comune il ricorso alla forza di menti creative contro la brutalità di chi confida solo nelle sue forze…armate.
In particolare, gli Emesani decisero di puntare la loro guerra psicologica sul terreno del fastidio-ribrezzo, mirando a “schifare” i Romani con atti decisamente provocatori ma, al tempo stesso, sconcertanti e “spiazzanti” in quanto non apertamente aggressivi.
Purtroppo per loro, l’espediente ritardò soltanto la conquista romana, che peraltro si prolungò per sette secoli. Pompeo – come ci racconta disinvoltamente l’amico-nemico Cesare nel III libro del De Bello Civili – ebbe il tempo di preparare la sua “campagna asiatica” “…senza azioni di disturbo da parte del nemico” e di portarla avanti grazie alla grande flotta che aveva raccolto e che, dopo la sua conquista di quei territori, gli consentì di “ [riscuotere] le grandi somme imposte in Asia e in Siria a tutti i re, dinasti e tetrarchi […] e si era fatto inoltre versare le grandi somme che le compagnie di pubblicani avevano esatto nelle province che egli occupava”.
A questo punto vale la pena di fare tre considerazioni:
1. Sebbene fare “cos’’e pazze” non servì ai Siriani di Emesa per evitare la pesante ed onerosa dominazione romana, sembra proprio che riuscì ad intaccare, sia pure per breve tempo, la granitica arroganza militare dei Romani, grazie allo sberleffo creativo ed alla resistenza spontanea e disarmata dei suoi cittadini.
2. La compattezza con la quale essi risposero all’appello del loro consiglio cittadino, poi, appare un’ulteriore dimostrazione che non si trattò di un episodio insignificante e limitato, bensì di una scelta tattica ben precisa ed organizzata.
3. Il ricorso al “corpo” ed alla sua sconcertante carica provocatoria (mangiare in modo disgustoso, defecare dove sono custoditi i viveri, toccare provocatoriamente i genitali degli stranieri e compiere altri “scherzi” di tal natura…) mi sembra infine una sorta d’allegoria della difesa senza armi, per così dire “a mani nude”, in quanto oppone la fisicità (e al tempo stesso la fragilità) del corpo dell’aggredito alla forza “armata”dell’aggressore.
Non so se riuscirò mai ad approfondire la ricerca su questa singolare e significativa vicenda di 21 secoli fa, ma ringrazio l’amico Enzo Delehaye per avermi dato la possibilità di riflettervi e di condividere con altri amici queste mie brevi e provvisorie considerazioni.