In occasione della Giornata Mondiale della Terra (22 aprile 2012), si sono moltiplicate le iniziative per fare il punto sull’impatto della nostra distruttiva impronta ecologica sul Pianeta azzurro e per proporre azioni concrete per invertire la rotta. Quest’anno la parola d’ordine è stata: “Mobilitiamo il Pianeta”, per sottolineare sia l’urgenza di questa “conversione ecologica” sia la necessità di coinvolgere al massimo la gente qualunque e di qualsiasi paese in tale ‘mobilitazione’ generale.
Persone che, giustamente, sono arcistufe di costosi ed inconcludenti summit e, più in generale, delle solite passerelle internazionali, che lasciano il tempo che trovano o, peggio, fanno trasparire l’impegno puramente formale dei governi. Al contrario – sottolinea il sito web italiano per l’Earth Day (http://www.giornatamondialedellaterra.it/terra/?p=2542 ) – “…il popolo ambientalista … si sta decisamente orientando verso una sensibilità diffusa, quotidiana e costante” e sempre più persone (si parla di un miliardo…) manifestano l’intenzione di darsi da fare per proteggere la Terra, attraverso tantissime buone azioni dirette oltre che con la pressione democratica su organizzazioni e governi che continuano ad andare nella direzione sbagliata.
La cosa più stupida da dire – ma che troppo spesso sentiamo ripetere proprio da quelli che dovrebbero richiamarci alla responsabilità – è che sarebbe la crisi economica, con la sua impronta recessiva, ad imporci priorità diverse, che pongono ovviamente in secondo piano la questione ambientale. Si tratta di un’affermazione, al tempo stesso, sciocca e maledettamente ipocrita, dal momento che la crisi economica mondiale e locale, frutto d’un modello di sviluppo iniquo quanto devastante, non si cura certo con una sempre maggiore mercificazione di ogni risorsa né attenendosi alle compatibilità di un sistema capitalista sempre più alla deriva.
In un mio precedente articolo, intitolato provocatoriamente “Un ambientalismo senza l’ambiente?” (https://ermeteferraro.wordpress.com/2012/04/01/un-ambientalismo-senza-lambiente/) mi sono già soffermato sull’assurdità di chi, pur ammettendo candidamente l’impatto umano come causa della preoccupante e progressiva modificazione degli ecosistemi terrestri, è giunto ad ipotizzare il superamento del concetto stesso di Natura come un romantico retaggio da sostituire con un rinnovato, fideistico, antropocentrismo. La teoria dell’Antropocene come nuova era geologica è, infatti, un’evidente mistificazione della triste realtà che, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti e che ci porterebbe semmai a qualificare la nostra specie con la denominazione di “Homo Insipiens”.
Lo stesso insinuante e ricorrente appello allo “sviluppo sostenibile” ed al rilancio della “green economy” – se decontestualizzato e strumentalizzato – diventa l’ennesima mistificazione della Neolingua corrente. La verità – al di fuori degli arzigogoli retorici di chi parla per ossimori per confonderci le idee – è che la stessa parola sviluppo è stata per troppo tempo manipolata e ridotta erroneamente a sinonimo di crescita o di progresso, connotandola come un processo illimitato, rettilineo ed a senso unico. Al contrario, proprio in base alla sua stessa etimologia, sviluppare si caratterizza come un’azione a spirale, che libera i soggetti da ciò che li ‘avviluppa’ (cioè li lega, bloccandone la capacità di esprimersi liberamente), facendone così emergere le capacità e valorizzandone le potenzialità.
Non a caso, chi parla di decrescita, come il gruppo italiano che ha promosso la mobilitazione per la Giornata della Terra (http://www.decrescita.com/) vuole richiamarci all’esigenza ed all’urgenza d’invertire il senso della nostra trionfalistica marcia verso la sottomissione totale dell’ambiente terrestre non tanto alle esigenze della specie umana, quanto di una ridotta percentuale di esso (non più del 20%) che vuole controllarne le risorse a danno del restante 80% dell’umanità, oltre che dei già compromessi equilibri ecologici.
Il mio amico e maestro – Antonio D’Acunto – ha dedicato a questa particolare giornata un bellissimo articolo, pubblicato come editoriale sul sito web di V.A.S. (Verdi Ambiente e Società), l’associazione nella quale insieme c’impegniamo da parecchi anni, a Napoli e in Campania (http://www.vasonlus.it/per-la-stampa/gli-editoriali). In questo intervento – impregnato d’una poeticità eccezionale ed improntato ad un laico rispetto per i ‘doni’ della Natura – egli, saggiamente, richiama tutti alla “superiore necessità d’invertire il futuro dell’Umanità, verso il Pianeta della Biodiversità”. Ma attenzione: non si tratta di un appello a cercare un fantascientifico pianeta su cui trasferirci. Al contrario, è un accorato invito a riscoprire l’eccezionale bellezza della nostra vecchia Terra, in tutti gli aspetti che l’urbanizzazione selvaggia sembra aver cancellato dalla nostra sensibilità e perfino dalla nostra percezione sensoriale. La luce di un tramonto, il richiamo stridente delle rondini, perfino gli spaventapasseri nei campi di grano, sono diventati ormai lontani ricordi per chi ha una certa età ed esperienze sconosciute per i ragazzi cresciuti a smart-phone, i-pod e merendine. La stessa vita quotidiana in città è sempre più avvolta da una grigia coltre di cemento asfalto e plastica, per cui si deve far ricorso ad apposite ‘visite didattiche’ per ricordare ai nostri figli che la natura non è il cane di casa ed il prato di erba sintetica del campetto dove giocano a pallone.
“Nelle città tutto si fa per cancellare la Biodiversità; la naturalità naturalmente non esiste ed ogni possibilità di rinaturalizzazione viene immediatamente elusa: i parchi, i giardini, gli stessi viali ed alberature di strade diventano sempre più rari e quei pochi che vi sono, piccoli o grandi che siano, vengono resi sempre più inospitali o anche mortali per ogni forma di vita diversa dall’Uomo. […]Tutto ciò che distrugge la biodiversità è presente e ritenuto frequentemente “fattore di crescita” nel nostro Paese.” (ivi).
In queste parole di Antonio D’Acunto mi sembra di risentire gli echi della malinconia agrodolce di cui erano pervase, già 40 anni fa, le pagine del “Marcovaldo” d’Italo Calvino, una nota raccolta di novelle non a caso sottotitolata “le stagioni della città”, dalla quale ho tratto questa citazione:
“Papà” dissero i bambini, “le mucche sono come i tram? Fanno le fermate? Dov’è il capolinea delle mucche?” “Niente a che fare coi tram” spiegò Marcovaldo, “vanno in montagna.” “Si mettono gli sci?” chiese Pietruccio. “Vanno al pascolo a mangiare l’erba.” “E non gli fanno la multa se sciupano i prati?”
L’articolo di D’Acunto è un entusiastico inno alla biodiversità che gli esseri umani, invece, stanno stoltamente cercando da decenni di cancellare. Lo fanno appiattendo e semplificando la complessità biologica naturale o sostituendosi alla stessa natura nella ‘creazione’ di nuove specie vegetali ed animali, ma sempre con la presuntuosa ybris di chi, come l’omino della pubblicità della banca, ha deciso di costruire l’ambiente intorno a sé, a proprio uso e consumo.
“C’era una volta un litorale, una duna meravigliosa…”: è questo l’elegiaco ricordo di qualcosa che gli uomini stanno facendo scomparire a poco a poco, convinti che la loro missione è la colonizzazione ed urbanizzazione di ogni residuo spazio naturale “…spianando, livellando, igienizzando e confortizzando gli.”inospitali” spazi della macchia che la Natura aveva costruito…”. (ivi)
E’ per questa ragione che celebrare la “Giornata della Terra” è sicuramente cosa buona e giusta, ma ancor di più lo sarebbe un impegno continuativo, assiduo e costruttivo, per difendere davvero il nostro Pianeta da quest’incalzante minaccia alla sua stessa sopravvivenza. Non si tratta di essere i soliti, apocalittici, ‘profeti di sventura’. Se non si cambia rotta – ciascuno in prima persona e tutti insieme per costringere chi ci governa – non ci aspetta il trionfo dell’Antropocene, ma il disastro annunciato dell’Ecuméne.
Bisogna stare attenti, però, a non puntare solo sulla responsabilità dei singoli o, in alternativa, su quella esclusiva di chi ha il potere di decidere per tutti. L’ambientalismo minimalista dei soli ‘piccoli gesti’ può risultare negativo quanto quello che combatte solo le “strutture”, offrendo comodi alibi alle nostre scelte quotidiane che invece avallano il ‘sistema’. C’è bisogno di protagonismo individuale e familiare, in materia ambientale, ma anche di coinvolgimento dei corpi intermedi delle società, cioè le comunità locali, i gruppi organizzati, le organizzazioni. Non a caso, in altri tempi, persone come me hanno sostenuto la necessità che un soggetto politico ecologista praticasse necessariamente anche un’autentica ecologia della politica. Purtroppo, come sappiamo, è prevalsa la stridente sfasatura tra prospettive e presente, tra teoria e prassi, e siamo tristemente giunti al punto in cui la teoria è del tutto scomparsa, lasciando campo libero al pragmatismo utilitarista e spregiudicato.
Ecco, allora, che intanto – nel silenzio assordante dei media – nella sola Africa ben 60 milioni di ettari di terra coltivabile sono già stati accaparrati da investitori stranieri. Ed è proprio in Africa ed in America del Sud che si trovano, in base ad una stima, l’80% delle risorse mondiali di terreni agricoli. Secondo la “International Land Coalition” , sarebbero addirittura 200 i milioni gli ettari di terra coltivabile che sono stati resi oggetto di negoziazione, per la loro vendita o affitto, per finalità agricole o bioenergetiche. Questi dati, tratti dal numero di febbraio 2012 del mensile missionario “Comboni-Fem” sul triste fenomeno del “land grabbing” (vedi: http://www.combonifem.it/articolo.aspx?t=M&a=4709#), sono però assai poco conosciuti e dimostrano la colpevole disattenzione di tanti organi informativi, anche ‘progressisti’, su queste tematiche.
Il fatto è che, prescindendo dalla coscienza ambientalista laica di alcuni individui come D’Acunto, c’è sempre più bisogno di un’etica della responsabilità ambientale da parte dei credenti. Il nostro positivismo razionalista – come ha dichiarato Benedetto XVI nel suo discorso dello scorso dicembre al Bundestag tedesco – “assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. […] Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra, ed imparare ad usare tutto questo nel modo giusto”. (cit. in mio post di dicembre 2011: https://ermeteferraro.wordpress.com/2011/12/26/edifici-in-cemento-ma-senza-finestre/ . Ecco, spalanchiamo le finestre e riscopriamo la bellezza e la perfezione di un pianeta di cui dovremmo essere solo attenti amministratori e custodi, non sprezzanti padroni. E facciamolo in modo che questa ‘giornata della Terra’ duri molto più di una giornata…
© Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )